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Alberto Criscione è ormai noto per l’irrompere del caso, dell’imperfezione, della materia eterogenea nella composta bellezza dei suoi corpi che così disorientano e affascinano l’osservatore. Il corpo umano è la linea di continuità che, a partire dalla radice classica, ci accompagna ormai da tre millenni. Nell’immaginario e nella sensibilità dello scultore ragusano questa proporzione, questi tratti così profondamente assimilati sono ormai diventati un alter ego dell’artista che attraverso le membra modellate parla per simboli, materia e gesti. La formazione nella bottega del padre, autore di apprezzatissimi presepi, e poi la creazione di innumerevoli Via Crucis per le chiese ragusane lo abituano a dare per scontata la correttezza anatomica, la perfetta aderenza dell’opera alla fisicità biologica. Capisce, quindi, che il soggetto resta immutabile ma - come un consumato attore di teatro - è capace di raccontare storie diverse, di camuffarsi dietro il personaggio.
Il dubbio, che sembra aver spinto Alberto Criscione ad un continuo approfondimento, sembra potersi riassumere così: l’uomo è semplicemente colui che indossa i panni di un personaggio o può essere letto come qualcosa di diverso, come porta cosmica che racchiude inconsapevolmente il mistero della vita, della trasformazione e del tempo?
Ovviamente la risposta è quella del tramite, del potenziale passaggio. Da quel momento, dall’intuizione di una lettura cosmica dell’individuo la statua cessa di essere attore di un fecondo teatrino immaginario. Quindi, nella mente riflessiva dell’artista, la moltitudine di figure che un tempo sarebbero diventati santi e pastori, madonne e angeli oranti cominciano a denudarsi, rinunciando ai simboli, agli apparati, alle vesti.
Nelle opere di Alberto Criscione tutto ciò che è transitorio improvvisamente scompare, anche i particolari più intimi smettono di essere rappresentati: sarebbero l’emozione del momento, racconterebbero di passione e di istinti, di vita e non di verità. Ciò che l’artista cerca, modellando nel suo studio lontano dalla frenesia del traffico di città, è l’uscita temporanea dal corpo, lo slancio verso un altrove dove possa ascoltare sussurri intangibili, che siano avi o flussi di energia, la voce della natura in continuo fermento.
Per questo motivo Alberto Criscione si sente un artista sciamano, il testimone di un ponte che gli può aprire il cuore e lo spirto ad una comprensione superiore. Per gli occhi invece - i suoi come memoria, quelli degli altri come traccia di un’esperienza - verranno appagati dal riscontro fisico, dal modellato prezioso che il fuoco consolida e ruba all’inesorabile deteriorarsi del tempo.
Questo complesso ma affascinante ragionamento ci permette di comprendere i due aspetti più peculiari della sua arte, tenendo sempre fermo che l’immutabilità del soggetto umano è resa con il perdurare della forma classica, espressione aurea dell’autorappresentazione esteriore.
Il primo è la leggiadra e spontanea migrazione di simboli che vagano come un’onda senza confini cronologici, una marea che lambisce il corpo delle statue e vi deposita i segni senza un ordine apparente. Sui torsi delle divinità troviamo quindi loghi aziendali, elementi della modernità, valvole di gonfiaggio. È una scelta chiara, un messaggio che Criscione ci consegna con l’umiltà e la naturalezza di chi ha orizzonti molto più ampi del normale: la storia è fatta di corpi, che indossano i panni degli dei, dei pupi, del cittadino e del borghese, del mondo antico e di quello moderno.
Il secondo, invece, è il segno, la cicatrice, la traccia dello sguardo che per un attimo - abbandonando il corpo - possiamo volgere alle vertiginose immensità della comprensione universale. Un battito di ciglia, solo un istante iniziatico che ci svela però una verità potente e temuta, sconvolgente eppure avida di pace. Noi siamo la materia che si corrompe, siamo la terra che erompe dalle lacerazioni improvvise. Siamo ciò che ci ha preceduto, ci stiamo trasformando in ciò che verrà. Ogni ferita, ogni squarcio e al medesimo tempo insostenibile dolore e seme piantato per una continua rinascita, alchemica e misteriosa, tra argilla e fuoco, cristallo e smalto, dove tutto appare senza però mai assumere una dimensione certa.
written by Massimiliano Reggiani
Critico d’arte, promuove una lettura delle arti visive come linguaggio strettamente legato al contesto culturale dell’autore, alla consapevolezza del gesto e alla volontarietà della comunicazione. Oltre a questi caratteri specifici ritiene che, nelle arti visive, la fisiologia della percezione prevalga sui confini strettamente culturali. Diplomato Maestro d’arte in Decorazione pittorica e in Scenotecnica, poi all’Accademia di Belle Arti di Bologna in Scenografia, laureato in Giurisprudenza e in Filosofia all’Università degli studi di Parma